Più che elezioni, sembrerebbe di trovarsi all’interno di un’aula di un concorso pubblico dove i
vincitori sono pochi e i partecipanti numerosi. Un terno al lotto. La selezione, il prossimo 25
febbraio in occasione delle Regionali 2024 in Sardegna, metterà a confronto oltre millequattrocento candidati che riempiono oltre venticinque liste. I seggi a disposizione sono sessanta. I candidati presidenti, quattro. Lo spezzatino elettorale è servito e la corsa alle poltrone è già entrata nel vivo.
«Ciao, come stai? Mi sono candidato». Tutti, almeno una volta, hanno ricevuto una chiamata o un messaggio simile, magari dopo anni di silenzio da parte del mittente. È la frase del momento, ma è questo il potere delle elezioni, che è più efficace di qualsiasi mix di integratori per la memoria tra L-asparagina, L-glutamina, vitamina B6 e fosfoserina. Le elezioni sono un vero connubio di componenti sinergici che fanno ricordare il numero di telefono – non memorizzato nella rubrica – della persona incontrata almeno, almeno, un lustro fa.
È questo, gente, il potere delle elezioni.
È una lotta senza eguali, quasi egoistica, presuntuosa, dove tutti cercano di colpire basso, talmente basso che potrebbero mancare il bersaglio. La speranza però è sempre una: superare l’emergenza democratica.
C’è chi pensava di correre in solitaria, salvo poi associarsi a coloro che con forza hanno assunto gli stessi temi dell’autodeterminazione per dare un’alternativa alla destra romana e alla sinistra pentastellata: l’accordo rimarrà in piedi fino a quando la Sardegna e i suoi bisogni rimarranno al centro del progetto. C’è chi sperava di fare il bis, ma non gli è stato concesso “da lassù” e anzi, chi è al suo posto dichiara che riparerà agli errori della gestione precedente. Ma della propria gestione precedente, gli errori chi li aggiusta? Si sorvola. Oppure, ai candidati, chi dirà di pensare a risolvere i problemi anziché proiettarsi verso la costruzione di nuove infrastrutture? C’è anche chi arriva e cerca di organizzare un campo largo per conquistare il palazzo di Viale Trento, ma questo campo diventa un po’ più stretto perché molti gruppi si sono spostati: non disposti a correre con determinati stemmi al proprio fianco. Ma si tratta di scelte: si possono condividere. Oppure no.
C’è chi addirittura pensa che i nemici della Sardegna siano destra e sinistra assieme, «autrici del disfacimento dell’Isola». Ma a ben guardare, un po’ di sinistra è presente anche in quelle stesse coalizioni. Alcuni altri hanno di diverso una certa propensione verso la sardità, che, se rimarrà tale, garantirà battaglia. Ma ci sono anche coloro che invitano tutti i contendenti al confronto pubblico a quattro, all’americana, tanto siamo globalizzati. Una visione complessiva dei programmi: non una cattiva idea. Sicuramente aiuterebbe a gettare luce su alcuni aspetti che si ha in mente di affrontare, anche nell’immediato. C’è però chi non lo vuole questo confronto e – per ora – si defila. Addirittura, c’è poi chi si definisce l’alternativa a tutti quanti, ma solo le urne potranno dimostrarlo.
La propaganda è fatta di promesse, ma ci sono anche promesse non mantenute risalenti a qualche mese fa. Queste ultime, adesso, sono in cima agli appunti di molti candidati consiglieri. Magari, il rinnovamento del 25 febbraio porterà alla tanto richiesta moratoria per normare l’assalto alle terre, al vento, e al sole della Sardegna.
Tuttavia, sarebbe opportuno non utilizzare simboli che non hanno appartenenza politica per fini politici e propagandistici, e ci si aspetta che la squadra chiamata in causa si dissoci per tutti i tifosi che non si riconoscono in quel particolare partito. Certo, un partito non è una squadra di calcio: va scelto intelligentemente attraverso il programma elettorale, seguito dopo le elezioni, e controllato da vicino per far sì che le promesse siano mantenute, discutendo sottovoce prima, per farsi sentire, a squarciagola, poi. Si deve scegliere correttamente chi supportare per risollevare la nostra terra falcidiata da speculazioni energetiche e territoriali, tra settori economici in crisi, tra collegamenti interni ed esterni mancanti o che cincischiano, per usare un semi-eufemismo, tra sanità estremamente da potenziare e autonomie scolastiche che è di moda fare sparire. Il 25 febbraio non dobbiamo giocare una schedina. Pensiamoci.
Giovanni G. Scanu