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    Sardegna: questa non è una regione per i giovani

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    Ieri abbiamo letto e pubblicato con sgomento la lettera che Luca Pisano ha affidato ai social, grazie alla quale abbiamo potuto leggere come i residenti della Marina abbiano chiamato i Carabinieri perché insofferenti al rumore di un pallone e di alcuni skateboard usati dai ragazzi intercettati dagli operatori di strada di Cagliari.

    Gli “operatori di strada” sono gruppo di psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, assistenti sociali, docenti e avvocati che lavora gratuitamente con la strategia della “riduzione del danno”. Di cosa si tratta? La riduzione del danno è un insieme di strategie, politiche sociali e azioni messe in atto dai servizi sanitari, dalle associazioni e dagli individui per ridurre le conseguenze (fisiche e sociali) negative associate ad alcuni tipi di comportamenti, legali o illegali.

    Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’emergenza sanitaria che ha amplificato problemi latenti nella nostra società, il disagio giovanile è esploso in tutta la sua drammaticità. Non è un problema solo di Cagliari o delle grandi città, ma anche dei piccoli comuni dell’interno: ovunque si trovano gruppi di giovani (e meno giovani) senza meta e senza obiettivi che passano le serate a consumare alcolici e droghe. In preda ai fumi dell’alcol o degli stupefacenti, poi, danneggiano il bene comune o si rendono protagonisti di risse furibonde, contribuendo ad alimentare la sensazione di degrado e disagio dell’intera comunità.

    Se è facile identificare il problema, è altrettanto facile identificare una delle soluzioni completamente disattese dalle amministrazioni locali e regionali. Ossia che in Sardegna mancano gli spazi e le opportunità per i giovani.

    Eloquente, in tal senso è l’analisi del Sole 24 ore basata su 12 parametri statistici forniti da Istat, Miur, Centro studi Tagliacarne, Iqvia. La Sardegna è una regione disastrosa per le opportunità offerte alla fascia 18-35 anni, con la sola provincia di Nuoro che si piazza nella parte centrale della classifica (31°) ma con tutti gli altri capoluoghi relegati nelle zone basse della graduatoria. Cagliari è 71°, Oristano 74°, Sassari 81°, Sud Sardegna in 107° e ultima posizione.

    Al netto di politiche regionali, provinciali e comunali spesso inesistenti, qual è il contributo che ognuno di noi può dare per la soluzione del problema? Probabilmente per chi, come me, ha raggiunto i 40 anni, è fin troppo facile tornare con la mente ai tempi in cui si giocava – senza soluzione di continuità – a pallone o a nascondino per strada, urlando e schiamazzando per tutte le lunghissime mattinate, pomeriggi e sere estive, soprattutto a scuole finite. Nessuno dei “residenti” ha mai chiamato i Carabinieri, nonostante il rumore: era un baccano “pulito”, spesso i vicini di casa si affacciavano per dare uno sguardo e controllare le nostre marachelle (e talvolta ci redarguivano, quando si esagerava).

    Ecco, forse nel tempo è venuto a mancare il senso di comunità, di tolleranza, di prendersi cura anche degli altri. Ognuno è assorto nei propri problemi, nel proprio lavoro, nella propria vita: non abbiamo più il tempo di sollevare lo sguardo dai nostri smartphone per renderci conto del disagio altrui, perché siamo concentrati troppo su noi stessi. Preferiamo non essere messi al corrente delle difficoltà dei “conoscenti” (perché se un tempo il vicinato era una sorta di famiglia allargata, ora è un semplice ammasso di persone che si conosce vagamente), distogliamo lo sguardo dai problemi degli altri e – tutto sommato – preferiamo che i giovani si droghino in silenzio in un vicoletto, piuttosto che sentirli giocare rumorosamente in piazza, magari con un pallone o uno skate.

    E qui torniamo al concetto di “riduzione del danno”: se non è consentito ridurre le conseguenze negative della noia e dell’abuso di alcol e droghe, dando valide alternative (libere e gratuite) ai giovani, come possiamo dire di voler aiutare davvero i nostri ragazzi? Se chiamiamo i Carabinieri per denunciare l’utilizzo di un pallone, ma distogliamo lo sguardo quando vediamo ragazzini con in mano una siringa o di una bottiglia di superalcolici, possiamo davvero autoassolverci?

    E allora dobbiamo chiederci non cosa può fare lo Stato per i giovani, ma cosa può fare ognuno di noi – anche nel nostro piccolo – per le nuove generazioni. A iniziare dal non chiamare le forze dell’ordine quando ci sono dei ragazzini che giocano in piazza, se lo fanno rispettosamente e in orari accettabili. Perché, come diceva qualcuno più saggio di me, “se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema”.

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