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    Neve, un’opportunità o un disagio?

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    Da qualche giorno nevica in Sardegna. Paesaggi mozzafiato, immagini da cartolina, caminetti accesi. Bello, non c’è che dire. Non son tutte rose e fiori, ovviamente. Paesi senza energia elettrica, strade impercorribili e chiuse, automobilisti bloccati, servizi ridotti all’osso o sospesi momentaneamente. Cosa domandarsi davanti a tutto questo se non chiedersi se la Sardegna sia davvero pronta a qualche forma di turismo alternativa che non sia legata al mare. No, l’isola non è pronta a nessun tipo di turismo aggiuntivo o alternativo a quello balneare. Sono i fatti a dirlo, inutile farsi illusioni o mascherare la realtà. Secondo voi quale turista frequenterebbe a gennaio o febbraio i paesi montani sardi, quelli veramente di montagna dove ogni anno nevica, sapendo che già alla prima spruzzata di bianco l’evento atmosferico causerà black out diffusi, interruzioni di strade, l’attivazione in tutta fretta di un piano di emergenza basato sull’impiego di forze come i Vigili del Fuoco o la Protezione Civile? Voi andreste in vacanza in un posto, seppur bellissimo, sapendo dalla tv o dai giornali che appena nevica si blocca tutto e non puoi neanche ricaricare il tuo smartphone? Questa è purtroppo la realtà. Negli ultimi anni in Sardegna si è fatto un gran parlare di diversificazione del turismo. Idea meritevole, fine lodevole. Si sono spesi tanti soldi e tanti altri se ne stanno spendendo. Ma per che cosa? Prendiamo il turismo montano, per cosa sono stati investiti i soldi? Non certo per garantire o potenziare le infrastrutture e i servizi necessari ad evitare che non appena scendono i primi fiocchi di neve i paesi rimangano senza energia elettrica. Per cos’altro accade, infatti, se non perché le infrastrutture elettriche non sono adeguate e, sicuramente, non sufficientemente manutentate? La colpa di chi è? Ogni volta che succede qualcosa è una girandola di accuse incrociate e di fogli di carta riempiti con interrogazioni e mozioni della politica. Il solito scaricabarile tra chi prima era all’opposizione e chi è oggi in maggioranza, e viceversa. Tuttavia, la colpa è di tutti perché non si ha visione strategica delle cose da fare. Si ragiona del turismo come se fosse un compartimento stagno slegato dai trasporti, dalle infrastrutture, dai servizi, dai costi, da tutto il resto. Si vedono in tv le immagini di chi vive di altre forme di turismo, come quello culturale, religioso o, appunto, montano, e si pensa che basti stanziare qualche soldo in Regione, magari a pioggia, perché si possa fare altrettanto anche nell’isola. Questa è una pia illusione, nonostante vi siano le ricchezze da sfruttare. L’unico settore turistico che funziona in Sardegna, oggi come quaranta o cinquanta anni fa, è quello balneare. Stop. Lo è perché il mare, i fondali, le spiagge e le coste sono un richiamo internazionale che si è riusciti a sfruttare e incanalare dietro lo sviluppo della Costa Smeralda. Uno sviluppo che, ahimè, non è neanche nato in Sardegna ma che ha saputo sfruttare l’isola. Possiamo stare qui a disquisire per ore e ore, se non giorni, se lo sviluppo turistico alla Costa Smeralda rappresenti o meno la vera Sardegna. Personalmente non lo credo, ma questo non cambia nulla alla realtà dei fatti. Quello è il turismo che ha portato sviluppo e ricchezza all’isola. Il resto non fa neanche da contorno. L’unico turismo ad oggi possibile in Sardegna è e resterà quello balneare. Non perché non vi siano altre potenzialità, ma perché non ci sono ancora le condizioni. Del turismo montano abbiamo detto. Passiamo ora al turismo religioso di cui si parla tanto. L’idea è buona, anzi ottima, ma manca ancora l’attrattore centrale. Un turista non sardo, perché il turismo in un’isola si fa con i turisti non isolàni altrimenti è solo un travaso di ricchezza momentanea tra poveri, perché dovrebbe prendere un aereo per venire in Sardegna per turismo religioso? Qual’è o dovrebbe essere l’attrattore principale? La chiesa del borgo minerario di Ingurtosu con il tetto divelto che nessuno riesce a riparare ma che risulta inserita nel Cammino di Santa Barbara? La basilica di Saccargia, bellissima e affascinante, che però è difficile da trovare aperta. Potrebbe senza dubbio esserlo il santuario di Sant’Ignazio da Laconi a Cagliari, e tutti i luoghi sacri ad esso collegati, se i turisti, primi tra tutti quelli che scendono dalle navi da crociera, sapessero perlomeno chi è stato quell’uomo di Dio e quale testimonianza di fede e santità ci ha lasciato in eredità. Il turismo è una vera e propria economia dove la domanda deve incontrare l’offerta, inutile girarci attorno. Il turismo religioso deve avere una fonte attrattiva che coinvolga la fede e la spiritualità. Chi ha fede e va a Roma lo fa perché c’è il Vaticano, il Papa, la tomba di Pietro, le catacombe. Poi, è vero, vi troverà tante altre cose. Chi si reca in Umbria ci va perché è la terra di San Francesco, Santa Chiara, Santa Rita da Cascia. Ben venga se poi ci troverà anche i borghi medioevali e tanto buon cibo. Chi va a San Giovanni Rotondo o a Pietralcina lo fa per fede e devozione verso San Pio. Stesso ragionamento vale per chi visita i santuari di  Lourdes, Fatima, Medjugorje, o le basiliche di Padova e Loreto. Funziona così il turismo religioso. Dobbiamo avere il coraggio di dire chiaramente che le manifestazioni che noi chiamiamo e magnifichiamo come turistiche, o addirittura Grandi Eventi, in realtà sono tutto ma non quello. Se una sagra, una festa, una manifestazione o un evento portano dieci mila turisti cagliaritani (e sono tantissimi) in Marmilla o in Barbagia non è comunque turismo, o almeno non lo è per lo sviluppo della Sardegna perché è a impatto economico zero. Si tratterà al limite di un travaso di soldi e risorse dal cagliaritano ad altre zone della Sardegna. Si tratterà di un evento importante per tenere in vita le radici storiche e le tradizioni, per creare e divulgare cultura, per dare ossigeno alle economie locali ma non per far fare al turismo isolano quel salto di qualità di cui ha bisogno per iniziare a misurarsi con gli altri competitor sul mercato. Sarà senza dubbio una  buona cosa per quelle zone, i loro comuni e produttori, la loro economia locale, ma per la Sardegna è una operazione inesistente che non crea sviluppo e non fa aumentare la ricchezza. Meglio, si dirà, che quei soldi rimangano comunque in Sardegna invece che andare altrove. Ovvio, ma è una mera consolazione per chi vuole parlare concretamente di turismo affinché aiuti l’isola a combattere la disoccupazione e lo spopolamento. Diverso se a quelle manifestazioni partecipano anche solo alcune centinaia di persone arrivate in Sardegna con un volo charter, con una prenotazione in albergo, con un’auto da noleggiare. Certo, ora gli esperti drizzeranno le orecchie, alzeranno il sopracciglio e digrigneranno i denti facendo della loro saccenza insegnamento per sostenere che esiste anche il turismo interno e che merita di essere valorizzato. Vero, è così, ma non rende l’isola più ricca perché l’obiettivo deve essere quello di creare sviluppo, vendere i suoi prodotti, i suoi servizi, la sua cultura e ricchezza ambientale all’esterno. Prima di proporre ricette o finanziare progetti sul turismo occorre fissare obiettivi strutturali. Il turismo ha bisogno di azioni propedeutiche e di un bagno di umiltà. Si inizi, ad esempio, a non dire più che la Sardegna ha le cose più belle. Innanzitutto perché non è sempre vero, poi perché rischia di diventare un facile alibi per non fare nulla. La Sardegna ha tante risorse e attrazioni uniche al mondo, su quelle bisogna puntare affinché siano gli altri a dirci che sono più belle delle altre. Ricordiamoci, infatti, che l’unicità è una ricchezza oggettiva che nessuno può contestare, la bellezza resta sempre e comunque un parametro puramente soggettivo che spesso offusca il nostro giudizio, specialmente sulle cose che ci appartengono. 

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