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    Sardegna, parole parole e ancora parole sui trasporti.

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    C’è un motivo per cui la Sardegna non è e non sarà mai Italia, i trasporti. Provate a vivere dovendovi spostare continuamente tra la penisola italiana e la nostra Terra natia. È un incubo, un’impresa titanica. Non solo bisogna prenotare in anticipo, incrociare le dita che tutto vada bene, fare gli scongiuri e sopportare ritardi su ritardi, ma soprattutto sperare nella benevolenza altrui. Sì, avete capito bene. Bisogna affidarsi totalmente alla benevolenza degli altri perché per chi è nato in Sardegna, ci vive o deve ritornarci per stare a casa con i propri familiari per le feste o un improvviso lutto la mobilità non è un diritto ma una concessione di tanti altri. Devi sperare nell’indulgenza delle compagnie aeree, in quella delle società che gestiscono gli aeroporti, dei politici che giocano alla continuità territoriale solo quando hanno bisogno di cavalcare la protesta per racimolare consenso, dei sindacati dalle sigle incomprensibili che proclamano scioperi sempre di venerdì. Devi persino sperare che non ci sia traffico o che un incidente non ti tenga fermo facendoti perdere il volo o una coincidenza. Quando viaggiamo, noi sardi di nascita dobbiamo portare con noi non solo tanta pazienza ma anche il cappello in mano perché ci facciano l’elemosina di garantirci il sacrosanto diritto di spostarci secondo le nostre esigenze, urgenze e, perché no, per il solo piacere di viaggiare, di vedere il mondo, di visitare amici e parenti emigrati lontano. E, credeteci, tutto questo è un vero paradosso. Lo è perché noi isolani siamo ancora ricordati fuori dai nostri confini geografici come coloro che sequestravano le persone a scopo di lucro. Una pratica ignobile che ormai da tempo è, per fortuna, sparita dalla nostra bella e selvaggia Sardegna. In realtà, però, i veri sequestrati siamo proprio noi anche se non ce ne rendiamo neanche conto. Oggi, come allora, siamo noi ostaggi a cui viene chiesto un salasso sociale ed economico per il solo esercitare un nostro sacrosanto diritto, quello di spostarci, di essere liberi di decidere cosa fare della nostra vita. Credetemi, è una enorme invidia vedere gli altri “italiani” potersi muovere con disinvoltura scegliendo come meglio potersi spostare. Loro, i continentali (persino gli stranieri), possono scegliere come meglio credono e hanno a portata di mano sempre un piano B o anche un’alternativa C per poter portare a compimento i loro desideri e voleri. Si svegliano la mattina e possono decidere dove andare senza dover fare i conti con le nostre limitazioni. Possono sedersi in auto, girare la chiave e imboccare un’autostrada. Se non possono in aereo possono scegliere il treno, l’auto, l’autobus e persino il taxi. Certo, potrebbe costare loro tanto ma sono liberi di farlo, di scegliere, di disporre come vogliono della loro vita e del loro tempo. Noi no. A noi questo diritto non è garantito. Ovvio che non lo sia per ragioni geografiche innanzitutto. Viviamo in un’isola e poco importa che nessuno ce l’abbia chiesto di nascere dove ogni punto cardinale è circondato dall’acqua del mare. Noi possiamo raggiungere le altre parti d’Italia solo con i traghetti o l’aereo. Ovvio che sia così. Tuttavia, questo gli altri non lo capiscono e, se per caso ti lamenti di un ritardo o di un volo cancellato, ti senti anche rispondere a malo modo che la colpa è solo tua perché sei nato o hai deciso di vivere in Sardegna. Insomma, dobbiamo pagare le colpe dei nostri avi e dei nostri genitori che hanno fatto l’Italia con coraggio e anche donando ciò che avevano di più caro: la vita. Se a un sardo cancellano all’improvviso l’ultimo volo per rientrare non può far altro che soccombere. Imprecherà sicuramente, ma dovrà  arrendersi. Può, forse, chiedere un rimborso, ottenere una camera d’albergo dove passare la notte sperando che l’indomani possa partire con uno dei primi voli (se non c’è sciopero) o ricevere un panino come gentile concessione della compagnia a cui, magari, hai pagato il volo in anticipo sei mesi prima. Già, perché regalarti un panino basta e avanza per chi ti tiene ostaggio dove non vuoi come se il ristoro di un danno alla nostra libertà passasse sempre per lo stomaco. Per gli altri “italiani”, quelli del continente queste cose non succedono mai. Se perdono o viene cancellato loro un volo possono scegliere. Anche nella disgrazia è data loro la facoltà di scegliere cosa fare e come arrangiarsi. Anche i nostri cugini siciliani, isolani come noi, hanno altri modi alternativi, nonché una maggior frequenza aerea. Da Palermo puoi arrivare a Roma sedendoti su un treno e non dovendolo più cambiare. Il viaggio, è verissimo, dura quasi 12 ore e ti costa circa 80 euro sola andata ma hai comunque una alternativa, almeno una ce l’hai e senza dover cambiare posto. Poi, chissà, tra un pochino avranno anche il ponte sullo stretto e anche loro potranno decidere dove andare in piena autonomia usando la propria auto senza doverla imbarcare. Questo stato delle cose, tuttavia, non lede solo noi che abbiamo il diritto di uscire e rientrare dalla nostra isola per lavoro o per piacere, ma anche chi vuole visitare l’isola e così contribuire a incrementare quel turismo che da noi è ancora un affare di soli due o tre mesi d’estate. Non ci rendiamo conto che questo drammatico stato dei trasporti da e per la Sardegna non solo ci priva di un diritto personale inalienabile ma ci rende anche più poveri perché non ci permette di sfruttare le risorse più attraenti e uniche della nostra terra. Perdiamo sempre e solo tempo a darci le colpe, a trovare un alibi, ad additare scelte sbagliate del passato, che ci sono state e continuano ad esserci. Non ci rendiamo conto che facendolo in modo pedissequo stiamo solo buttando via il nostro presente e ipotecando il futuro. E, così, quando ti capita di dover subire tutto questo in aeroporto non puoi non diventare rosso dalla rabbia mentre sei seduto ad aspettare il tuo turno per la libertà e senti in tv che la Regione siciliana rimborsa del 50% i biglietti dei turisti che per le feste tra Natale e Capodanno scelgono di passare lì le loro vacanze, ricevendo anche una notte gratis in hotel e tante altre agevolazioni. Il loro programma si chiama, in rigoroso inglese, See Sicily. A noi resta il “eya, a si biri” che ci rivolgono a denti stretti tutti quelli per cui noi, gente di Sardegna, valiamo meno di un pacco comprato con Amazon Prime. Quello sì che arriva in Sardegna in tempo per le feste e il mare non gli fa un baffo perché business è sempre business. E noi sardi, in carne e ossa, non siamo neanche quello.  

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