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    Il giorno del grande movimento di popolo

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    Oggi la Sardegna si trova di fronte a un bivio storico. La consegna di oltre 210.000 firme per la legge Pratobello 24 rappresenta un gesto potente, non solo simbolico ma reale, che la politica non può ignorare. Più di duecentomila voci si sono unite per dire “basta” alla speculazione energetica che rischia di trasformare l’isola in una terra di conquista per interessi esterni. Questo non è solo un dato numerico impressionante, è una chiamata alla responsabilità, un atto di ribellione pacifica e democratica che incarna il profondo desiderio di autodeterminazione dei sardi.

    Eppure, sembra che la politica abbia perso il contatto con la realtà quotidiana delle persone che dovrebbe rappresentare. Le istanze che arrivano dalla Sardegna non riguardano solo la difesa del paesaggio, ma la difesa di un modo di vivere, di una cultura millenaria che rischia di essere cancellata sotto il peso di pale eoliche e progetti industriali calati dall’alto. La gente non si oppone alle energie rinnovabili in sé, ma alla mancanza di coinvolgimento, di trasparenza, e al totale disprezzo per le esigenze locali.

    C’è un senso di frustrazione crescente tra i sardi. Non è solo una questione di diritto ambientale, ma di dignità. Chi vive l’isola, chi la ama e la rispetta, non può accettare che decisioni così fondamentali vengano prese senza il minimo dialogo con chi subirà le conseguenze. La Sardegna non può più essere considerata una “terra vuota” su cui costruire impianti senza consenso. È tempo che la politica regionale e nazionale esca dal suo silenzio e affronti la questione con serietà e rispetto.

    La manifestazione di oggi è solo l’inizio. Il popolo sardo ha dimostrato di essere unito e pronto a lottare per ciò che ritiene giusto. La politica, se continua a ignorare questa forza, si condanna da sola all’irrilevanza. Se i politici regionali non sapranno rispondere con proposte concrete, con la volontà di costruire un vero dialogo con i cittadini, non resterà loro altra scelta che dimettersi. La Sardegna non può più essere terreno di sacrificio per interessi estranei. È ora di dire basta. E se la politica non è capace di farlo, saranno i cittadini a farlo per loro.

    Questo non è più un appello isolato. Le oltre 210.000 firme parlano chiaro: i sardi sono pronti a difendere la loro terra con determinazione. L’Italia intera dovrebbe prendere nota, perché ciò che sta accadendo qui non riguarda solo l’isola, ma il modello stesso di sviluppo che vogliamo per il nostro futuro. Un futuro in cui le comunità locali hanno diritto di parola, in cui le decisioni non vengono imposte dall’alto, e in cui la tutela del territorio è prioritaria.

    Che questo sia un messaggio per tutti: la Sardegna non si arrenderà. La sua gente ha dimostrato una volta ancora di essere pronta a lottare. E chi oggi non ascolta, domani dovrà fare i conti con una forza che nessuna speculazione potrà mai sconfiggere.

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