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    Ancora pochi giorni per visitare la mostra “ORO NERO”, comunità, territorio, arte, di Pietrina Atzori, nel “Museo Antonio Corda Arti e Mestieri Antichi della Sardegna” ad Arbus

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    Lartista di San Sperate racconta nella nostra intervista il suo incredibile viaggio di quasi 4000 chilometri per presentare la lana della pecora nera di Arbus

    Chiuderà i battenti i 6 gennaio 2025 la mostra “ORO NERO” dell’artista Pietrina Atzori che finora ha registrato un notevole successo di pubblico e di critica.

    Pietrina Atzori (1964), come si legge in una parte della presentazione della mostra a cura di Ivana Salis, storica d’arte di Gonnosfanadiga, è un’artista del filo, della trama della parola e della relazione, unisce parti del passato e del presente, costruendo inedite relazioni e geografie umane. La tessitura, appresa nel contesto della tradizione manifatturiera sarda, diventa il mezzo con cui rappresentare il presente, con una forte attitudine alla contaminazione dei materiali. La sua modalità operativa è incentrata sulla relazione tra arte, territorio, comunità, in un flusso che riconduce ai cardini dell’arte relazionale. Tra i progetti più importanti della sua ricerca artistica si annovera la valorizzazione della lana della pecora nera di Arbus, fibra che utilizza sia in opere tessili sia in operazioni sociali, coinvolgendo diverse risorse umane e territoriali. L’utilizzo di questa materia organica, recuperata dall’artista con un lavoro pluriennale di ricerca e sperimentazione delle sue potenzialità, condotto insieme alla comunità degli allevatori, la contraddistingue nel suo impegno verso il territorio e la sua valorizzazione.

    Abbiamo incontrato l’artista di San Sperate qualche giorno fa nel Museo Corda di Arbus in occasione della Mostra “ORO NERO” e ci ha raccontato il significato delle sue opere e il suo fantastico e originale viaggio per l’Italia in scooter col suo compagno e con la lana della pecora nera di Arbus.

    Lei ha compiuto un originale Giro dItalia in scooter, diventando di fatto, la più importante testimonial della lana della pecora nera di Arbus. Quando è nata lidea?

    L’idea è nata nel 2019, ma frequentavo Arbus già dal 2011 perché ero venuta a conoscenza della pecora nera e quindi della sua lana. Essendo un’artista visiva che utilizza come materiale la fibra, il filo, Il tessuto, quando ho scoperto questa lana, ho avuto proprio un moto di entusiasmo perché il suo nero è naturale e il nero in natura non esiste. Tutto ciò che noi abbiamo di nero è chimico, sia sui nostri abiti, sia su altre cose. Avevo pensato da tempo alla possibilità di chiamare a raccolta molte persone a far parte della comunità di tutela, appunto della pecora nera di Arbus. Personalmente posso dire che questa fibra è straordinaria. La pecora nera con certe caratteristiche esiste solo ad Arbus, e in poche altre parti della Sardegna, e per questa ragione è considerata una biodiversità nel mondo. Frequentando i pastori ho realizzato che la lana della pecora nera di Arbus è unica, tanto da poter essere considerata “oro nero”, perché per la sua rarità ha affinità con l’oro e dunque va assolutamente salvaguardata. Non ho mai pensato che la lana nera potesse avere la possibilità di usi consueti, ne ho sempre immaginato nuovi usi alternativi. Per esempio dato che Arbus è un paese a vocazione turistica ho pensato che in questo paese, nei negozi ciascun turista si sarebbe potuto portare via un pezzetto della propria esperienza fatta nel territorio, con qualche metro di lana nera delle pecore di Arbus, perché una delle cose che più caratterizzano questo paese è proprio la presenza della pecora nera con la sua lana unica e straordinaria. E così ho cominciato a far sognare anche i pastori e loro hanno accolto questo sogno e lo hanno fatto proprio.  Abbiamo cominciato a collaborare, specialmente con Paolo Isu e Ornella Armas dell’Az. Malafrundua. Parlavo con loro e mostravo le tecniche di trasformazione, come lavare la lana, come cardarla come trasformare questa materia plastica. Contemporaneamente quell’anno (era il 2012) capitò che in occasione della “Sagra della pecora nera” fu organizzato un convegno ed io fui invitata da Laore (L’Agenzia Regionale per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale) per relazionare sulla mia pratica di lavorazione di questa fibra. Arrivai lì con una matassa di lana e dissi che oltre all’importanza dell’animale dal punto di vista zoologico, economico, dell’allevamento e quindi come fonte di sostentamento alle famiglie, questa pecora aveva altre qualità e altre possibilità, come l’utilizzo della sua rara lana. Misi sul tavolo appunto un paio di matasse di lana filata e diedi i miei numeri: una pecora nera può avere al massimo circa 800 grammi di lana; pulita e cardata scendiamo intorno al 60%, quindi a conti fatti potremo ottenere un prodotto di circa 500 grammi. Chiaramente con un lavoro fatto a mano, come si faceva una volta. Con qualche metodo artigianale e macchinari adeguati si può forse ottenere qualcosa di più. Dipende tutto da come si lavora. Dopo quel convegno Laore e il Comune di Arbus proposero di organizzare un corso riservato alle famiglie dei pastori per insegnare le tecniche di lavorazione della lana nera grezza. Il corso si fece nel 2019. Lo tenni per una decina di persone. Qui insegnai, ovviamente non a tosare, ma diedi dei consigli importanti su come trattare il prodotto dopo la tosa.  Insegnai a conoscerla attraverso la selezione, il lavaggio, e la trasformazione per diversi usi. Nel 2019 contemporaneamente andava a compiersi il processo di riconoscimento del marchio ministeriale della pecora nera di Arbus.

    Zaino e Casco simboli del Giro d’Italia

    Lei conosce il mondo pastorale arburese più degli arburesi stessi a quanto pare

    Frequento da molti anni il mondo della lana in Italia e posso dire che l’unica pecora che ha questo status con un marchio riconosciuto su tutta la filiera: carne formaggio ricotta lana e anche il corno è la pecora nera di Arbus. Il corno viene usato dai coltellinai e i coltelli tipo “Arburesa”, ma anche altri tipi, hanno una degna collocazione nel mercato dedicato. Lo definirei un oggetto principesco. Nel 2019 finì il corso e arrivò il riconoscimento del marchio poi tutto si fermò. Non si mosse più nulla, per me, perché io avevo un’esigenza artistica, dato che ormai era diventato il mio focus di ricerca. Mi interessava il legame che esiste tra questa materia (la lana) e la comunità e il suo territorio dato che questa pecora si è conservata fino a noi proprio perché si è adattata a questo territorio e nonostante non sia altamente produttiva come la pecora bianca. Mi chiedevo perché un pastore dovrebbe mantenere 100 pecore nere se cento pecore bianche producono molto di più… C’era qualche elemento che mi sfuggiva, ma ad un certo punto ripassando il punto di vista dei pastori, mi accorsi che in loro c’era un amore, una tradizione, una serie di ragioni per le quali essi tenevano a questa pecora e l’allevavano, come per esempio i Lampis che hanno convertito tutto il loro gregge in pecore nere. E da grandi visionari hanno tirato su anche un caseificio per cui tutto il loro latte viene trasformato in casa e da essi stessi commercializzato. Queste sono azioni fondamentali perché se porti con te tutto il passato radichi la tua stessa persona nella storia, nel presente ed è di grande importanza anche per proiettarsi nel futuro. I pastori sono persone che hanno la testa e i piedi radicati alla terra, sono persone solide. Pensai che questa fosse una comunità straordinaria e meritava che io ne facessi tesoro e mi impegnassi per questo.

    Poi cos’è successo?

    Dopo aver attraversato un momento di scoramento perché tutto sembrava essersi fermato, mi preparavo a fare le mie vacanze. Il mio compagno propose di farle in scooter… non ero molto convinta perché non avevo mai fatto viaggi di questo genere e comunque accettai. Per carattere io non posso stare con le mani in mano e decisi di portare Arbus con me. Ideai il mio progetto. Con un mio bigliettino da visita scrissi che era il viaggio del filo di lana della pecora nera di Arbus. In questo viaggio appunto, portai con me tanti bigliettini da visita con la busta preaffrancata e con dentro un filo di lana. Portai con me anche un gomitolo di lana, le forbici, la colla e tante bustine da lettera e molti francobolli che man mano che il viaggio andava avanti ho dovuto poi integrare perché ero partita con meno francobolli di quelli che sono occorsi. Fino dall’inizio del viaggio, per ogni tappa raggiunta pubblicavo su Facebook un post del luogo visitato e così si è divulgato lo svolgimento del particolare viaggio. Non avevo idea di quello che sarebbe successo. Le mete da raggiungere spesso arrivavano in modo del tutto casuale e talvolta un po’ condizionate dal fatto che nei post che pubblicavo quotidianamente ricevevo messaggi che mi chiedevano di passare in comuni, inizialmente non programmati. In qualche post c’era proprio scritto: “Devi passare proprio da qui perché il Sindaco ti vuole incontrare”. Quindi il mio viaggio in sostanza è stato un po’ casuale e un po’ no. Nella cartina dell’Italia che avevo predisposto erano evidenziati con i punti rossi i comuni sedi di associazioni di filo oppure musei del ricamo e con i punti neri i luoghi e le città dove sono andata. In questo modo ho trasformato l’Italia in una sorta di grande telaio dove questo filo alla fine diventava un grande ordito attraverso il quale poi tutte le comunità, attraverso i loro Sindaci, nella mia mente, diventavano una trama e si intelaiavano al tessuto comunitario della lana nera. In realtà la trama è stata stesa da tutte le persone che hanno collaborato. Persone che hanno continuato ad inviare messaggi, a rimanere connesse. Hanno cominciato a conoscere e a visitare Arbus, in molti hanno cominciato a comprare la lana dai pastori e questo costituiva una parte del mio progetto che ha sicuramente contribuito a favorire la connessione fra le comunità e i territori, tra il radicamento che abbiamo nel nostro mondo, nel nostro vivere, con ciò che succede intorno a noi.

    Quali sono le caratteristiche della lana?

    La lana è una delle materie più tecnologiche che esistano. E’ naturale, capace di regolarsi con l’ambiente, l’umidità e la mancanza di umidità, quindi la trattiene e la rilascia e seconda delle condizioni ambientali. Prende fuoco solamente a 360 gradi, pertanto è ignifuga, biodegradabile, per quanto la biodegradabilità sia lenta, insomma ha veramente tante caratteristiche positive. Un’altra delle motivazioni che mi spingeva a ricercare sulle caratteristiche della lana erano appunto queste tante proprietà che possiede. Il fatto è che benché abbia queste proprietà viene considerata un rifiuto speciale che dà grandi problemi ai pastori. In Italia qualunque lana, anche la più pregiata, comunque viene considerata un rifiuto speciale, non viene recuperata. Avviene così in Sardegna, in Italia e in Europa. L’unica lana che mantiene il suo status di fibra tessile è quella del sud America, del sud Africa e dell’Australia, la lana Merinos. Tutto il resto sembrerebbe non abbia valore. Però su questo problema stanno accadendo fatti importanti perché, anche l’università di Cagliari, nella facoltà di ingegneria, sta lavorando a sperimentazioni della lana per l’uso edilizio. Si stanno facendo prove tecniche sulla possibilità di fare degli intonaci per gli esterni dove la fibra lana è presente. Ribadiamo che la lana ha la capacità di assorbire l’umidità, è insonorizzabile, è ignifuga, ha tante qualità e darebbe notevoli vantaggi per le nostre case. Speriamo che presto si possa utilizzare. Quando sono stata in viaggio sentivo di avere l’urgenza e una grande responsabilità di continuare a parlarne, di continuare a lavorarci. Da quel periodo e negli anni seguenti eseguo i lavaggi, la cardatura, la filatura della lana seguendo i ritmi naturali. Dopo la tosa che avviene intorno al mese di giugno, tra luglio e agosto è il periodo del lavaggio perché il calore del sole nei momenti di asciugatura evita di infeltrire la lana, e la si può lasciare tranquillamente al sole. Invece nel mese di ottobre/novembre avviene la cardatura, cioè la pettinatura delle fibre tutte nello stesso senso. Una volta cardata possiamo o andare ad infeltrirla oppure filarla e ottenere il filo. Queste operazioni le faccio tutti gli anni.

    L’opera Cellule

    Cos’è successo ancora?

    Nel 2019 mi commissionarono una mostra a Mamoiada e in quel periodo, durante il mio viaggio, andai anche in altri comuni. Oltre a Mamoiada, andai ad Orgosolo e a Nurri dove feci anche una residenza artistica. In quell’occasione mi procurai diverse lane bianche già pensando di fare un lavoro di connessioni territoriali. La lana di pecora nera di Arbus con le altre lane bianche sarde. E pur vero che le lane che abbiamo in Sardegna appartengono tutte alla stessa razza però è anche vero che essere filologici per me era importante. Se dico che l’opera parla di Mamoiada è perché utilizzando la lana di pecora nera di Arbus, ho usato anche la lana bianca delle pecore di Mamoiada. Nella composizione è evidente il richiamo ai Mamuthones con alcune piccole lastre di metallo rettangolare che col loro suono richiamano appunto il suono dei campanacci dei Mamuthones. Un’altra opera invece vuole essere un omaggio ad Orgosolo perché composta da lana di Orgosolo con la lana rossa/nera di Arbus e alcuni bozzoli realizzati dall’artista che richiamano il baco da seta razza Orgosolo (una biodiversità tipica del luogo n.d.r.). Ho lavorato la seta all’uncinetto – afferma l’artista – per richiamare i bozzoli perché ad Orgosolo esiste un baco che si è endemizzato e produce una seta gialla. Nella composizione ho anche inserito un filo di seta”. “Nel costume tradizionale della sposa di Orgosolo – continua Pietrina Atzori”- c’è un capo che è realizzato interamente in seta ed è la seta della produzione locale”. “Nelle composizioni, come anche il pubblico può vedere, non c’è la pelle dell’animale, ma solo la lana lavorata con la tecnica dell’infeltrimento. Si mette la lana cruda (tosata) che viene selezionata in modo tale che si può allineare e sul rovescio si mettono le fibre cardate. Con acqua e sapone si saldano in modo irreversibile. Nella composizione che rappresenta Nurri troviamo la lana della pecora nera di Arbus e la bianca di Nurri. La tecnica usata è sempre quella dell’infeltrimento qui ho inserito il filo naturale di lana in dialogo con il filo artificiale della lenza e il filo di luce. Un filo di luce che l’attraversa. – Un filo di luce – asserisce l’artista – come filo conduttore di tutto questo processo di connessioni”. Infine l’ultima tavola. “Questa è una tavola che io considero la summa di tutte le altre tre – afferma Pietrina Atzori – perché qui abbiamo la lana della pecora nera in versione rossa, una rarità nella rarità, un’eccezione nell’eccezione e una serie di piccoli scrigni anch’essi lavorati con l’uncinetto che poi ho tinto di rosso con colori naturali con dei ricami sopra, perché io spesso realizzo nelle mie opere ricami”. “Penso di continuare con questo lavoro di connessione fra territori con le località sarde…lo considero un lavoro in divenire”. Nel 2023 sono stata invitata alla manifestazione “FELTROSA” (Una manifestazione internazionale, una “Riunione dei feltrai italiani” che si svolge ogni anno in una località diversa d’Italia n.d.r.), una manifestazione itinerante che si svolge tutti gli anni in luoghi che hanno a che fare col tessile. Mi chiamarono per tenere un laboratorio. In genere non faccio laboratori, ma se mi consentono anche un’installazione sono più interessata perché nel frattempo tutto questo lavoro fatto con la lana della pecora nera di Arbus mi ha spostato verso l’arte partecipativa. Cioè realizzare delle opere attraverso e con la partecipazione del pubblico, quindi quasi un’arte performativa. Proposi di realizzare dei cerchietti rivestiti di lana. Chiesi ai partecipanti che provenivano da diverse parti d’Italia, ma anche dalla Francia e dalla Svizzera, che portassero delle lane locali semmai le avessero. Oppure poteva essere un pezzo di filo di un qualcosa che per loro poteva essere importante. Realizzammo quindi un’installazione che si può vedere fino al 6 gennaio 2025 nel Museo Antonio Corda di Arbus. Quest’idea sta continuando a viaggiare. Ogni cerchietto rivestito di lana rappresenta una cellula. Noi siamo un insieme di cellule. Ma ognuno di noi è l’insieme di una comunità e attraverso le lane locali in quella manifestazione parlammo ancora una volta di comunità e territorio. Quindi questo è stato lo start iniziale. Con queste connessioni si scoprono talvolta realtà complesse e difficili da gestire.

    L’opera Mamoiada

    Ha partecipato a tante rassegne darte. Ce ne vuole ricordare qualcuna?

    La direzione del Museo di Arte Contemporanea della Valle d’Aosta nel Castello Gambami invitò a partecipare ad una collettiva molto selettiva dove la curatrice chiamò sette artisti, quasi tutti erano locali ed io ero quella che veniva quasi dall’atro mondo visto che arrivavo dalla Sardegna. Benché la mia partecipazione comportasse un certo impegno mi vollero fortemente perché avevo già fatto un altro lavoro in Valle d’Aosta e la Sovrintendenza delle Belle Arti voleva che io continuassi a percorrere quel territorio. Il tema di quella mostra era “l’Arte come capacità di risanare il territorio o comunque di curare il territorio”. In quella manifestazione ci fu chi lavorò a realizzare un ghiacciaio trattando il problema dello scioglimento dei ghiacciai e altri lavorarono su diversi progetti. Io pensai di non realizzare un lavoro che parlasse di “fratture – rammendi …” ma decisi ancora una volta di portare la possibilità di creare invece uno sguardo dove le comunità si incontrano, dove l’unione fa la forza, quindi realizzai di nuovo il “progetto cellule” questa volta utilizzando solo la lana della pecora nera di Arbus e la lana della pecora di razza autoctona rosset valdostana. Mi procurarono la lana già cardata e filata. La pecora rosset come la pecora nera di Arbus è una biodiversità, non ha il pedigree che sono riusciti a dare alla pecora di Arbus però esiste una cooperativa la cui normativa regionale valdostana sostiene e finanzia perché non smettano di lavorare. In quel luogo si produce un tessuto che è il drap valdostano. Un tessuto identitario, un po’ come il nostro orbace, solo che lì ancora oggi le case sono arredate con questo tessuto. In questa cooperativa sono molto bravi perché hanno saputo modernizzare il tessuto, cioè da bianco ecru, sono riusciti a creare nuovi colori molto eleganti. Hanno cominciato a realizzare oggetti per la casa. Hanno saputo creare da pochissime pecore, ancora meno della pecora nera di Arbus, un indotto economico dove lavorano circa tre famiglie e tutti i pastori che hanno le pecore rosset hanno la tosa e la lana pagata dalla cooperativa che trasforma poi in capi di abbigliamento, talvolta esclusivi perché lavorati sartorialmente. Chi acquista un abito simile ha un abito esclusivo.

    Quale contributo ha dato Ivana Salis nell’esposizione della mostra nel Museo Antonio Corda Arti e Mestieri Antichi della Sardegna” di Arbus?

    Ivana Salis è una storica dell’arte che io ho conosciuto diversi anni fa e abbiamo fatto diversi progetti insieme. Anche l’anno scorso mi ha invitato a far parte di una bellissima collettiva nel castello di San Michele a Cagliari dal titolo Bucolica Urbana, inserito nel Festival di arte urbana e arti visive Cagliari Urbanfest, organizzato dall’associazione ASTERAS. Ho saputo dopo molto tempo che lei viveva in questo territorio. Ha una capacità di narrazione e di visione che ammiro ed è la prima che ha guardato questo mio lavoro. Ho tratto coraggio dal suo sguardo perché il confine che esiste tra un’artista che usa il filo e Maria Lai è un attimo. Tante persone dicono: “fai le cose come Maria Lai…” ed io rispondo: “a Maria Lai le devo tanto, il paragone mi onora ma devo fare tanta strada …”. Quando vidi per caso un suo libro al Festival del Libro di Macomer dissi a me stessa: ma allora il filo e la fibra possono essere il medium dell’arte contemporanea,lì presi coraggio. A Maria Lai devo il coraggio che ha suscitato in me…A Ivana riconosco invece che lei abbia guardato il mio lavoro senza pregiudizio, anzi valorizzandolo ed anche da lei ho preso il coraggio di andare avanti. Ivana l’ho chiamata per presentare questa mostra quale tributo per il suo sostegno. Sono sempre stata felice di quello che attraverso Arbus ho potuto fare, prima per imparare e poi fare, perché l’ho dovuto mettere in pratica.

    Ci vuole raccontare un ultimo episodio?

    Un giorno, eravamo ancora sotto l’epidemia Covid, mi chiamò un signore che mi disse di essere il direttore del Museo Gambae mi chiedeva di realizzare una performance per le giornate della cultura europea che si svolge tutti gli anni intorno al 17 di settembre e tutte le città in qualche modo partecipano, anche se non tutte fanno eventi di grande importanza. Pensai inizialmente che il direttore stesse sbagliando persona, ma poi mi disse di essere stato a San Sperate e di aver visto i miei lavori. Accettai l’invito e per l’occasione realizzai l’opera di fronte al Museo Archeologico di Aosta… Dalle finestre alte dell’edificio museale feci scendere giù tre drappi, lunghi circa otto metri, che avevano la forma trapezoidale e da questi venivano fuori delle fettucce che rappresentavano i fili dell’ordito. Insomma era la rappresentazione di tre telai. Circa venti persone muovevano i fili dell’ordito, altre persone con delle matasse di cimose agivano le trame con cui, alla fine della performance si è ottenuto un tessuto delle dimensioni di sei metri per cinque circa. Oggi questa installazione fa parte del Museo di Arte Contemporanea di Aosta.

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