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    La storia di un detenuto campano, sollevata dal Maria Grazia Calligaris dell’associazione “socialismo diritti, riforme ODV”

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    É in carcere dal 2009. Dopo essersi costituito a Roma, ha conosciuto 7 Istituti Penitenziari. Nel 2013, processato per concorso esterno viene condannato a 6 anni e 8 mesi e passa dal regime della media sicurezza e quello dell’alta sicurezza. Nel 2023, nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta, è ancora ristretto in AS3 e, nonostante diverse istanze al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non riesce ad ottenere risposta. Ciò è riportato in un comunicato stampa a cura dell’associazione “Socialismo Diritti, Riforme ODV”

    “Una storia amara – sottolinea Maria Grazia Caligaris dell’associazione citata – facendosi interprete del disagio e disappunto del detenuto Massimo Vanlese. Napoletano, 50 anni, l’uomo è stato trasferito in Sardegna 9 anni fa, prima a Tempio e poi a Oristano Massama, dove è rimasto 6 anni. Lì ha potuto frequentare con successo l’Istituto Artistico arrivando al quarto anno, ma ha dovuto interrompere il percorso scolastico, suo malgrado, per il trasferimento a Cagliari-Uta”.

    “Assistito dall’avv. Massimiliano Dessalvi, Vanlese non si capacita della condizione di alta sicurezza, avendo terminato abbondantemente di scontare la pena ostativa nel 2014 e chiede ripetutamente che gli venga concesso di poter fruire dei benefici previsti per i detenuti della media sicurezza. Non effettua colloqui, non riceve pacchi. Ha fatto diverse domande di trasferimento per fare ritorno nella Penisola per poter più facilmente poter incontrare il figlio down”.

     Nel comunicato del 13 maggio u.s. viene riportata una dichiarazione dell’avv. Dessalvi che assiste Massimo Vanlese: “Dal 2017 – ha spiegato l’avv. Dessalvi – Vanlese ha ottenuto il permesso di recarsi a Napoli per incontrare il figlio disabile. Una concessione del Magistrato di Sorveglianza che ha accolto la sua richiesta. Questo spostamento, che avviene a spese del detenuto, è un percorso a ostacoli perché è condizionato dalla disponibilità della scorta che lo deve accompagnare fino al carcere della Penisola dove deve attendere però anche lì la disponibilità degli Agenti per essere accompagnato dal figlio. Insomma per un permesso di 5 ore da trascorrere con il figlio deve penare 2/3 mesi. L’incontro peraltro avviene a casa di un’altra figlia che ovviamente deve dare la disponibilità. Se fosse declassificato potrebbe fruire di un permesso premio e/o di avvicinamento per i colloqui rendendogli l’incontro con l’unico familiare con il quale ha una relazione “costante” meno problematico”.

    “La vicenda di Massimo Vanlese – osserva Caligaris – appare come quella di qualcuno abbandonato a se stesso. All’umanità della Magistratura di Sorveglianza si contrappone quella di un Dipartimento sordo e cieco. Un caso che richiama ancora una volta l’esigenza che la pena sia umanizzata. Vanlese è consapevole dei reati che ha commesso e non sta chiedendo la libertà ma soltanto che qualcuno al Dipartimento presti attenzione alle sue istanze e proceda con la declassificazione. Dopo 14 anni ininterrotti di carcere forse lo si può ascoltare. L’auspicio è che l’ultima istanza di declassificazione, in ordine di tempo, presentata sia accolta in tempi rapidi”.

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