“Ho solo pensato a una parte del Paese sotto abitata, era un’iperbole per far capire che nelle zone densamente abitate queste persone fanno disastri. Mi dispiace che i sardi si siano offesi. Non ho nulla contro la Barbagia. Ma le reazioni alla mia proposta di mettere i clandestini in una zona sotto abitata dimostrano comunque che non li vuole nessuno. La prossima volta proporrò di trasferirli su qualche vetta di montagna a 3mila metri. O a Capalbio, località dove saranno accolti con tutti gli onori“”.
Lo dice all‘Ansa il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, dopo il polverone sollevato dalle sue dichiarazioni dei giorni scorsi.
Torno per un attimo sulle dichiarazioni rese ieri dall’ormai celeberrimo sindaco di Como. Le sue affrettate giustificazioni, infatti, appaiono così estremamente improbabili, se non del tutto grottesche, da meritare una piccola riflessione. La Sardegna non si è ribellata, giustamente, alle sue precedenti affermazioni perché anche chi abita l’isola non vuole gli immigrati tra i piedi, ma semplicemente perché non si vuole essere trattati da colonia così come accaduto per tanto tempo in passato. Ciò che ha offeso i sardi non è l’idea che in Sardegna arrivino nuovi immigrati, ma il pensiero che un italiano, peraltro detentore di una carica pubblica, ritenga ancora oggi che l’isola debba fungere, per sua ubicazione geografica o per storia passata, da mera prigione ideale o da campo di detenzione di persone a lui non gradite. Questo ha fatto indignare i sardi. L’isolamento atavico della Sardegna va combattuto, non sfruttato o agevolato. Trarre da questa levata di scudi del popolo sardo che anche la Sardegna non voglia i migranti al pari di tutto il resto d’Italia (cosa, peraltro, non vera) è del tutto errato e fuorviante. L’isola ha incessantemente accolto i migranti che sono arrivati dal mare o che le sono stati assegnati perché è essa stessa terra di migrazione, da sempre. Lo è tuttora, forse più che in passato, anche se si fa finta di non vederlo. Solo negli ultimi anni decine di migliaia di giovani sardi sono già partiti per trovare fortuna in Germania, in Irlanda, in Inghilterra, persino a Dubai e in Australia. Altri si apprestano a farlo a testimonianza di una emorragia senza fine che lo Stato italiano non è riuscito finora ad arginare. La verità è un’altra, ben più triste e amara. Il sindaco di Como parla di deportazione di uomini e donne senza neanche rendersene conto. Pensare di imbarcare migliaia di persone dal Nord Italia per poi condurle in un’isola lontana da tutto dove ci si può muovere solo con aerei e traghetti dai costi esorbitanti è, infatti, una vera e propria forma di deportazione che mortifica, umilia e calpesta la dignità umana. I migranti non hanno come meta la Sardegna. Il sindaco di Como si è forse chiesto perché è così? Lo è non perché ai migranti non piaccia l’isola o il popolo che la abita ma soltanto perché sanno anche loro che in Sardegna non c’è lavoro e non c’è futuro neanche per chi vi nasce. Se i paesi sardi si spopolano sempre più ci sarà un motivo. I migranti non hanno bisogno del mare cristallino, delle spiagge selvagge o degli alberghi di lusso per soddisfare il loro bisogno temporaneo di vacanza estiva, come fanno tanti turisti per qualche giorno o settimana, ma di concreta
speranza per il loro domani. Questa speranza in Sardegna non c’è per loro come per tanti altri. Le mete dei migranti sono ben altre. Sono la Germania, la Francia, il Regno Unito, il Belgio, l’Olanda.
Guarda caso le stesse destinazioni preferite dai giovani sardi che riescono ad emigrarvi con più facilità grazie al fatto di essere cittadini comunitari o, comunque, europei. Portare con la forza dei migranti e recluderli di fatto in Sardegna contro la loro volontà solo perché l’isola ha pochi abitanti e è difficile che possano spostarsi con facilità da una regione all’altra usando auto, treni o autobus è imporre loro una forma più o meno evidente di deportazione. Lo è anche per via della motivazione che se ne adduce. Si afferma, infatti, che nelle grandi città del Nord Italia i migranti “fanno disastri”, quindi bisogna portarli in zone non densamente popolate affinché non possano nuocere. Mentre si dice questo non ci si rende neanche conto che si sta ancora una volta generalizzando ed esprimendo un giudizio categorico sulla tendenza delinquenziale di un’intera categoria di persone. Basta essere
migranti per essere potenziali delinquenti da isolare, tenere in disparte, “recludere” dove possano fare meno danni. Un po’ come accadeva in un recente passato quando i sardi erano considerati tutti dei banditi solo perché alcuni di essi erano dediti ai sequestri di persona. È questo il pensiero che deve farci paura. I migranti vengono visti e ritenuti dei potenziali delinquenti a priori. Questo a prescindere da tutto. Un po’ come avviene in Israele dove dopo un attentato le case e le abitazioni dei parenti di coloro che si sono resi colpevoli di quel fatto vengono per legge rase al suolo a prescindere dallo loro effettiva correità nel fatto stesso. Per applicare la norma e buttar giù case e abitazioni basta il nesso di parentela completamento avulso dalla concreta prova di responsabilità in ciò che è stato compiuto da altri. È la più palese violazione delle regole di diritto che ci ricordano che nessuno può e deve essere punito per colpe altrui e che ognuno risponde di ciò che compie. Stessa cosa si vuole applicare ai migranti. Poiché si dà per scontato che in gruppo delinquono allora vanno deportati tutti dove possono fare meno danni. Non si risolverà mai il problema dell’immigrazione se lo si affronta in questo modo sbrigativo e se lo si considera sempre e solo come una emergenza. Serve ben altro e bisogna innanzitutto partire dal rispetto della dignità umana, di ogni singola persona. E’ con una seria e ponderata politica di integrazione e di equità che si affronta questa sfida e non con l’idea di ghettizzare qualcuno dove può disturbare di meno. Eppure, come italiani ci siamo già passati e abbiamo sofferto tanto, troppo, per via degli stereotipi e dei pregiudizi che ci sono stati affibbiati da chi credeva e si arrogava il diritto di esserci superiori. Anche in questo caso ci farà bene riflettere su queste semplici ma illuminanti parole di Papa Francesco: “L’uomo non impara mai dalla storia, i migranti vanno accolti e integrati”.